Ciao arbori-cultorə, stai leggendo Mangrovia, la newsletter mensile coltivata dalla redazione di Sineglossa. Qui, ogni mese, condivideremo una selezione di link, approfondimenti, scoperte, letture, eventi che hanno alimentato la nostra foresta di mangrovie. Tutto confezionato sotto forma di SEMI, GERMOGLI, LINFE e CHIOME.
In questo numero i SEMI nascono da un dibattito sul prebunking, il GERMOGLIO attecchisce con una particolare sfumatura del termine queer e le LINFE scorrono dal passato insegnandoci qualcosa sugli impatti della cultura. Se fin qui è andato tutto bene, otterrai delle bellissime CHIOME con la nostra esperienza di formazione sul capacity building di BASE Milano.
Prima di proseguire, un suggerimento: ti invitiamo a leggere questa newsletter con il sottofondo musicale selezionato dall’ecosistema Sineglossa. Brani che ci colpiscono, ci entusiasmano, ci commuovono. Puoi trovarlo come playlist su Spotify qui. Dura il tempo di lettura più qualche sfizioso approfondimento.
Sei prontə a coltivare la Mangrovia di maggio? Ci vorranno circa 19 minuti.
🍃 SEMI
notizie che viaggiano, si diffondono e in-formano il nostro mondo, ovvero semi di notizie la cui radicale danza può iniziare, rimanendo in ascolto ed intercettandone il ritmo
Questo è uno dei due video lanciati l’anno scorso da Google su Youtube, Facebook, Twitter e TikTok in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia come campagna di prebunking, incentrata sulla circolazione di una serie di false affermazioni riguardo ai rifugiati ucraini: dal loro essere capro espiatorio per l’aumento del costo della vita sino ad arrivare a una presunta natura violenta e pericolosa che li caratterizzerebbe. Come sottolineato da un articolo di Euronews, il video è stato visto ben 38 milioni di volte, la metà della popolazione dei tre paesi coinvolti, ed è stato un primo esperimento di vaccinazione contro le fake news ideato dal grande gigante delle ricerche online. A febbraio del 2023, poi, convinto dell’efficacia del prebunking, ovvero di un allenamento a piccole dosi alle false notizie prima che queste si realizzino, sempre Google lancia la prima campagna europea di prebunking con l’obiettivo di rilasciare piccoli video sui meccanismi operanti sottotraccia nel campo della disinformazione. Il tema è articolato e complesso, collocandosi in uno scenario di voci e domande che corrono parallele e discordanti. Da un lato, il colosso Google è forte dei risultati dello studio che prende il nome di Inoculation science project condotto su circa trentamila persone dall’unità di ricerca Jigsaw in collaborazione con le Università di Cambridge e Bristol. Ai e alle partecipanti sono state sottoposte clip di 90 secondi “per vedere se potevano persuadere gli utenti del Web a stare alla larga dai contenuti più nocivi della rete” e si è visto che, come afferma Beth Goldberg, a capo di Jigsaw,
teaching people about techniques like ad-hominem attacks that set out to manipulate them can help build resilience to believing and spreading misinformation in the future.
Dall’altro lato, però, appare sempre più evidente che “prebunking conspiracy theories (warning people about them ahead of time) works better than prebunking”. Lo ribadisce in un tweet Laura Helmuth, editor-in-chief de Scientific American.
Cosa c’è alla base di un’affermazione così forte, uguale e contraria alla precedente? Lo spiega bene
inNello specifico
Prebunking has a similar covert premise as many other attempts at linguistic manipulation. What is linguistic manipulation? It is the use of language to influence, change, mold, and control someone’s thoughts, beliefs, and behavior, at its core it is one of the pillars of cognitive warfare. [...] Language is an absurdly powerful tool (as evidenced by my pen name), and changing the meaning of words and terms is one of the most effective long-term tools to shape and control people and especially culture, creating a self-feeding loop of change.
La domanda principe, allora, a riprova della complessità del tema e che, a questo punto, occorrerebbe chiedersi diventa: cosa è classificabile come disinformazione? E insieme ad essa: chi decide cosa è disinformazione?
Nel prebunking e nel suo utilizzo sono insiti i più nobili risultati così come la minaccia di una censura reiterata e l’origine di un periglioso pensiero di gruppo in cui opinioni dissidenti non sono solo messe a tacere, ma attivamente scoraggiate e stigmatizzate. Dal 1500 ecco che fa di nuovo capolino Machiavelli con “il fine giustifica veramente i mezzi”?
🌱 GERMOGLI
parole che attecchiscono, creando immaginari futuri, scenari improbabili, dialoghi sintetici o dibattiti antitetici
queer - usato in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali nel corso del 19° sec., queer è termine anglosassone che sta per «strano», «bizzarro», e a sua volta deriverebbe dal tedesco quer, «diagonale», «di traverso»
Come spiega brillantemente la ricercatrice Laura Schettini in un approfondimento curato per Treccani, la prima apparizione del termine queer risale al 1991 quando, in ambito accademico, la rivista Differences pubblica un numero speciale intitolato Queer theory. Gay and lesbian sexualities. Non solo, contestualmente si affaccia sulla scena nordamericana l’organizzazione Queer nation che inizia, grazie ad una serie di azioni-spettacolo, a contestare i pregiudizi e le raffigurazioni dell’omossesualità nei media. Nel doppio battesimo del termine ci sono le tracce di quello che sarebbe ed è poi entrato a fare parte della dimensione queer: l’attivismo politico e la ricerca accademica. Fil rouge dei due modi di intenderla è, in ogni caso, una messa in discussione, e conseguente lacerazione, della rigida e azzimata tonaca che la definizione di identità ha vestito per generazioni. Priva di qualsivoglia veste, l’identità queer è nata per accogliere una maggiore instabilità, mutabilità e creatività.
Se, poi, in nome della possibilità e della provvisorietà, l’ecologia e la teoria queer trovassero un comune e non-normativo spazio di incontro per comprendere le identità di tutti gli esseri viventi, cosa accadrebbe? Ne deriverebbe un'esplosione di contaminazioni che prende il nome di Queer Ecology, ovvero di un movimento, di un pensiero e di una modalità d’espressione che l’artista Priya Subberwal ben descrive nell’articolo di the Years Project.
Queerness in ecology is a concept broader than sexuality or gender identity. It is an all-encompassing wink to weirdness in the more-than-human world, and serves as an alternative to the binary and reductive modes of thought in which so many of us have been trained.
Lo scambio tra i due campi di sapere è reciproco. Lo studio dell’ecologia è in grado di portare ad una comprensione della pura diversità del mondo così come essa ci circonda mentre, come descritto in un articolo su The Commons,
Queering our ecology means redefining what we value in the living world. When we celebrate the interrelation between all the diverse life forms in nature, it becomes part of our cultural mindset. We reshape limiting human systems by taking pride in our true nature
Perché, quindi, oggi, attecchisce la parola queer? Perché in grado di recuperare le lezioni di matematica, di scienze e di biologia e ampliare quella che è stata la decodificazione classica della realtà circostante. Assumendo questa nuova postura, saremmo forse più in grado di accogliere non solo la storia di Johnathon, tartaruga di 190 anni fieramente queer per tre decenni ma le storie queer di tutti gli esseri viventi in una pratica di moltiplicazione delle differenze e di valorizzazione dell’incertezza. Potremmo arrivare fino in India o in Pakistan per scoprire che esistono storie queer che si intrecciano anche con la fede e con la religione. Non a caso Rafiul Alom Rahman, fondatore e direttore di The Queer Muslim Project (TQMP), intervistato da
per l’ultimo post di afferma cheWhen you are a queer individual, too often, it is other people who tell your stories, and sometimes those stories cause harm. They don’t do justice to the more expansive reality of your life.
In una vastità di differenti esperienze che la modalità di pensiero Queer Ecology ci porta finalmente ad intercettare, comprendiamo che le forme di vita sono liquide.
Il naturale non è una restrizione escludente che ripartisce perentoria entro cornici e standardizzazioni. Il naturale che è in noi è, piuttosto, un spazio includente delle infinite possibilità dì.
[Illustrazione della locandina di MUTABILITY & MUTUALISM II, seminario proposto dall’
Institute of Queer Ecology]
🌿 LINFE
pillole di rinvigorenti simbiosi e contaminazioni, ovvero segnalazioni di eventi ed estratti di interviste che scorrono nel tempo, nutrendolo
I think we need an eighteen goal in the 2030 agenda. [...] We need something that recognizes a basic right to a minum amount of culture access and practice and enjoyment. We should work together to establish a sort of minimum level of cultural services to help people to attend to this goal. We need a leap: an idea that culture represents a form of general interest, like health, like security, like safety, like clean water, like roads.
Queste sono le parole di Annalisa Cicerchia, vice-presidente del CCW- Cultural Welfare Center, intervenuta al BACH workshop coordinato dal professore Pier Luigi Sacco e dal professore Riccardo Palumbo dell’Università di Chieti presso il CAST- Campus Universitario di Chieti, sull’impatto degli eventi culturali. Nella due giorni del 12 e 13 giugno, a cui hanno contribuito i ricercatori del Corso di Dottorato in Business and Behavioral Sciences, Umana Analytics, Cantina Marramiero, Confimi Industria Abruzzo, Fondazione Pescarabruzzo, EIT Culture & Creativity, la World Health Organization (WHO), la European Commission e l'OECD, è stato messo in luce il ruolo imprescindibile della cultura nel sostenere le attuali sfide non solo sociali ma anche economiche, ambientali e legate alla salute. È possibile rivedere l’evento in streaming qui per comprendere quanto l’accesso a e l’esperienza di servizi come il teatro, il cinema, le mostre d’arte o gli spettacoli non possano più essere considerati un mero vezzo ma siano uno tra i principali motori di tutti quei cambiamenti bio-comportamentali di cui c’è bisogno per un futuro più ecosistemico e sostenibile.
🌳 CHIOME
condivisione di rigogliosi saperi che ondeggiano, volano e ricadono
“Good design enables, bad design disables” afferma Paul Hogan, primo Presidente di EIDD (European Institute for Design and Disability) nel 1993: un gioco di parole da far proprio e un take home message dal Capacity Building per Operatorɜ Culturalɜ di BASE Milano. Grazie al contributo ministeriale di Creative Living Lab 2022, è nata, infatti, una I.D.E.A. di dialogo e formazione, ovvero l’opportunità di partecipare ad uno spazio comune in cui condividere risorse e strumenti sui temi dell’Inclusione, della Diversità, dell’Equità e dell’Accesso, a cura di BASE Milano e grazie ai contributi di Associazione Culturale Fedora, Moleskin Foundation e Diversity. Come Sineglossa, vestendo i panni di un ente del Terzo Settore che opera con differenti target progettuali, dagli e dalle adolescenti dei progetti sulle competenze trasversali fino al pubblico delle varie installazioni di arte e intelligenza artificiale, ci siamo spesso chiestɜ come garantire la migliore forma di accessibilità culturale e, soprattutto, come dare inizio a nuovo paradigma di creazione di contenuti che possa dialogare con differenti pubblici. Grazie ai primi due incontri di I.D.E.A., condotti da Associazione Fedora, abbiamo ricevuto delle interessanti risposte e formulato nuove domande a partire dagli innumerevoli stimoli proposti. Tra questi il consiglio di lettura del testo di Fabrizio Acanfora, In altre parole. Dizionario minimo di diversità (Effequ, 2021) in cui ci si sofferma sulle sfumature di termini a volte abusati. È il caso di “inclusione”, parola che sottintende uno squilibrio di potere tra il soggetto includente e il soggetto da includere. Se iniziassimo a pensare, piuttosto, ad una convivenza delle differenze? Questo perché, come si legge nel testo, esiste una
responsabilità collettiva di ogni singolo elemento della società, dalla maggioranza alle minoranze delle singole persone che le compongono, nella creazione di una cultura profondamente solidale e rispettosa della diversità e dell’unicità di ciascuna
Nella stessa direzione si muove la proposta di approfondimento di Fedora sul pensiero di Étienne Balibar, filosofo francese che ne Le frontiere della democrazia (Manifestolibri, 2000) teorizza il diritto alla differenza nell’uguaglianza, ovvero ad un’uguaglianza che non sia neutralizzazione delle differenze bensì “la condizione e l’esigenza della diversificazione delle libertà”. L’accessibilità culturale diventa così un esercizio politico di abbattimento di tutte quelle barriere fisiche, sensoriali e di contenuti che non consentono la coesistenza della differenza. Secondo questa postura strutturare un buon design dell’esperienza diventa una pratica di cura dotata di vari strumenti come la sovra o sotto titolazione, l’audiodescrizione, la comunicazione aumentativa alternativa, le mappe tattili, la co-progettazione e molto altro. Ma soprattutto una pratica di sguardi che hanno l’intento di facilitare e distribuire equamente lo spazio della cultura in modo che sia il più condiviso e contaminato possibile.
Proprio mossɜ dalla volontà di rendere Mangrovia accessibile, ti chiediamo un feedback sulla tipologia di contenuti, fonti e risorse: li hai trovati stimolanti, impegnativi, distanti, incomprensibili o coinvolgenti?
L’arboricultura è completa. Una Mangrovia è cresciuta nella tua casella di posta elettronica.
Leggendo tra semi, linfe, chiome e germogli, ti è venuta in mente una connessione che possiamo approfondire per il prossimo numero? Scrivici nei commenti o inviando un messaggio a sofia.marasca@sineglossa.it
A presto