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In questo numero i SEMI nascono allo Zenit con l’attivismo performativo, il GERMOGLIO attecchisce grazie al desiderio, le LINFE scorrono verso un festival a Venezia. Se fin qui è andato tutto bene, otterrai delle bellissime CHIOME con la nostra proposta di approfondimento dall’incontro La Sedia del Cece. Riccardo Dalisi e le radici del progettare al festival Giungla.
Sei prontə a coltivare questa Mangrovia? Ci vorranno circa 10 minuti.
Se vuoi, leggila con questo sottofondo musicale su Spotify. Brani che ci colpiscono, ci entusiasmano e ci commuovono.
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NOTIZIE CHE VIAGGIANO, SI DIFFONDONO E INFORMANO IL NOSTRO MONDO ALLO ZENIT
Questa settimana Mangrovia allo Zenit ci racconta di:
🍃 rapporto tra esseri umani e cani, mettendo in discussione l’idea che questi ultimi siano solo il prodotto dell’umanizzazione e del controllo umano. Che cosa è l’autodomesticazione? E come la nostra cultura ha influenzato la vita di questi animali? Hanno comunque mantenuto un’autonomia? È una storia che ci parla di relazioni, dipendenza e possibilità di immaginare nuovi equilibri tra specie.
🍃 attivismo performativo, un termine che indica quelle manifestazioni di solidarietà soltanto estetiche, cioè prive di qualsiasi azione reale e tangibile. Circola più o meno dal 2021 e si interseca con le tecnologie digitali. Come?
PAROLE CHE ATTECCHISCONO CREANDO IMMAGINARI FUTURI
desiderio: sentimento di necessità del raggiungimento di quanto si ritiene essere indispensabile per l'appagamento dei propri bisogni fisici, emotivi o spirituali.
L’etimologia della parola desiderio si perde nella storia delle parole. L’unico punto fermo pare essere questo: la parola desiderio deriva dal verbo latino desiderare con il de- privativo e il sidera, che sono gli astri. Letteralmente: "cessare di contemplare le stelle a scopo augurale" e nasce da una grande assenza che vuole essere colmata, da quel moto dell'animo che legava l’essere umano alle stelle, senza le quali non poteva orientarsi.
Il campo si è poi ampliato fino a diventare l’essenza stessa dell’essere umano, come lo definisce un filosofo olandese del XVII secolo, Baruch Spinoza. Il desiderio pare essere al centro delle nostre azioni e dei nostri pensieri: c’è il desiderio dell’amore, del sesso, della voluttà, della curiosità o della speranza. Il desiderio ci slancia verso qualcosa o qualcuno, in un flusso caratterizzato, a volte, anche dalla violenza delle nostre stesse passioni. Ogni desiderio ha un oggetto e ogni oggetto ha una serie di caratteristiche che lo rendono desiderabile. In questa cornice c’è un evidente continuum che va dagli impulsi primari (fame, sete, desiderio sessuale) ai desideri in cui la componente pulsionale è meno evidente e il radicamento biologico meno forte (desideri emotivi, spirituali, economici).
Ma il desiderio conserva comunque una dimensione sfuggente, difficile da misurare e da definire: perché, ad esempio, desideriamo quello specifico oggetto o persona e non un altro?
Perché alcune persone hanno la libertà di desiderare e altre no?
Molte donne, ad esempio, sono diventate esperte nel soffocare i propri desideri come strategia di adattamento ad un mondo sessista e hanno paura di un agire sessuale femminile – inteso come desiderio attivo – al quale è lasciato pochissimo spazio.
Come si intrecciano desiderio e performance? Ne parla l’articolo di questa settimana:
🍃 Dalle nuvole agli arcobaleni. L'Installation Performance come arte della resistenza. Cosa è la performance? Come si fa a far dialogare con la propria arte Oriente e Occidente? Lo abbiamo chiesto a Ratnabali Kant, una delle pioniere della performance art in India
SEGNALAZIONI DI EVENTI E OPPORTUNITÀ CHE SCORRONO NEL TEMPO, NUTRENDOLO
Dal 12 al 15 dicembre la IX VENICE INTERNATIONAL PERFORMANCE ART WEEK, intitolata Portals and Constellations, affronta il tema del legame sociale attraverso la lente della performatività.
Possono gli e le artistɜ performativɜ creare e abilitare traiettorie alternative per futuri più inclusivi e ricchi di possibilità?
VestAndPage, a cui è affidata la direzione artistica del festival, risponde che sì, possono farlo aprendo dei portali, luoghi liminali tra il qui ed ora e il non ancora qui, punti di accesso ad altri mondi e nuovi modi di essere, come quelli di un castello, una cattedrale o un palazzo, da attraversare privi di pregiudizi. Ma anche ibridandosi con la filosofia che, diventando performativa, può sostenere le azioni che la traducono in realtà.
L'evento è presentato dalle associazioni non-profit Studio Contemporaneo, PAV Performance Art Video, Live Arts Cultures ed EntrAxis in collaborazione con Future Ritual, NURT e Untitled Tbilisi e realizzato con il supporto di Perform Europe nell'ambito del progetto "CONSTELLATION".
Tra la costellazione dei bellissimi eventi proposti, vi segnaliamo:
✨12 dicembre | ore 18.00: 3.6.9: visions - for a small world di LA SAULA aka Saúl Garcia López: una performance che riflette sulla "Terza Guerra Mondiale" ibrida già iniziata, le cui "tracce" e i "detriti" verranno utilizzati per creare un'installazione concettuale - acchiappasogni con cui le persone potranno interagire durante i restanti giorni del festival.
✨ 14 dicembre | ore 19:30: L'Ağac di Aurah Jendafaaq: una performance che reimmagina un ibrido tra il semi-estinto bisonte caucasico e il dimenticato dio della foresta Ağac del folklore azerbaigiano, rivivendo questa simbologia in una prospettiva queer e come atto di rivendicazione della memoria e del potere culturale.
Ingresso gratuito. È richiesta la prenotazione dei giorni di partecipazione tramite Eventbrite.
CONDIVISIONE DI RIGOGLIOSI SAPERI CHE ONDEGGIANO, VOLANO E RICADONO
Lo scorso weekend siamo statɜ ospitɜ al festival Giungla del quale Mangrovia è media partner. Una perla tra i vicoli e il verde di Lucca fatta di eventi, laboratori e performance artistiche che cercano di agitare il pensiero e decostruire idee per interrogarsi su nuovi immaginari, insieme. Quest’anno il tema erano le radici e le sue derivazioni che rimandano a due significati: il “radicale”, ossia chi affronta i problemi alla loro radice, e il “radicato”, ossia l’appartenere a una terra o ad un qualcosa di stabile e saldo.
A proposito di architettura radicale abbiamo partecipato alla presentazione de La Sedia del Cece. Riccardo Dalisi e le radici del progettare (Corraini, 2023), a cura di Gabriele Neri, storico dell’architettura e del design che insegna al Politecnico di Torino, in conversazione con Sara Catenacci, anche lei storica dell’arte e professionista museale, ricercatrice presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca. È la figura così innovativa e radicale di Riccardo Dalisi nella sua relazione con la performance artistica che incontriamo tra le chiome di questa settimana. La presentazione del libro, infatti, che raccoglie i disegni di chi - noti designer e artisti come Andy Warhol, Alessandro Mendini ed Enzo Mari - accettò la provocazione di Dalisi di produrre una sedia immaginaria come quella su cui si siederebbe un cece, ha rappresentato solo l’inizio di un racconto più ampio: l’idea di Dalisi di far parlare tra loro tradizioni artigiane e innovazione progettuale, ad esempio, il suo sguardo attento al processo piuttosto che al risultato o, ancora, l’intento di unire Sud e Nord del mondo. Abbiamo chiesto a Gabriele Neri e Sara Catenacci come Dalisi intendesse la performance artistica e ci hanno risposto così:
Sara Catenacci: “Dalisi era un artista, in un certo senso, molto performativo, non stava mai fermo e ovviamente per lui veniva prima il fare del teorizzare. Gli anni in cui ha operato Dalisi - tra la fine degli anni ‘60 e primi anni ‘70- erano gli anni dell'arte concettuale e performativa della quale Dalisi è, al tempo stesso, testimone e critico. Più vicino al teatro povero di strada, non amava quelle opere d’arte costruite con gli scarti di produzione o le performance pianificate dagli artisti. La sua non era una performance concettuale - come quella che si faceva nei musei o gallerie d’arte - ma aveva un risvolto pratico. I sui laboratori dovevano avere un impatto nei quartieri, lì dove vivevano le persone”.
Gabriele Neri: “L’operato di Dalisi non ha un inizio o una fine: la sua è un’attività di lungo corso con una dimensione performativa temporale più che estetica. Non è un caso che abbia registrato tramite foto e video e con attenzione molti dei processi artistici che ha messo in atto”.
Aspettando il prossimo mese, che sarà dedicato al tema del piacere, qui di seguito un altro link utile per approfondire la figura di Dalisi da parte di Sara Catenacci: S. Catenacci, Maieutica del progetto. Riccardo Dalisi tra architettura, design e “animazione”, 1967-1974, in “L’uomo nero”, a. 12, no. 11-12, Mimesis, Milano 2015, pp. 182-201.
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