Ciao arbori-cultorə, stai leggendo Mangrovia, la newsletter mensile coltivata dalla redazione di Sineglossa. Qui, ogni mese, condivideremo una selezione di link, approfondimenti, scoperte, letture, eventi che hanno alimentato la nostra foresta di mangrovie. Tutto confezionato sotto forma di SEMI, GERMOGLI, LINFE e CHIOME.
In questo numero i SEMI nascono dall’approccio One Health, il GERMOGLIO attecchisce su di un particolare tavolo e le LINFE scorrono tra le statue. Se fin qui è andato tutto bene, otterrai delle bellissime CHIOME con la nostra proposta di lettura: Graphic design giapponese a cura di SendPoints - Nuinui.
Prima di proseguire, un suggerimento: ti invitiamo a leggere questa newsletter con il sottofondo musicale selezionato dall’ecosistema Sineglossa. Brani che ci colpiscono, ci entusiasmano, ci commuovono. Puoi trovarlo come playlist su Spotify qui. Dura il tempo di lettura più qualche sfizioso approfondimento.
Sei prontə a coltivare la Mangrovia di maggio? Ci vorranno circa 20 minuti.
🍃 SEMI
notizie che viaggiano, si diffondono e in-formano il nostro mondo, ovvero semi di notizie la cui radicale danza può iniziare, rimanendo in ascolto ed intercettandone il ritmo
Dal 31 marzo è online One Health Project, il sito dedicato al progetto promosso da ESG Culture LAB di Eikon Strategic Consulting e Healthware Group con il supporto di Fondazione MSD. Il percorso ha l’obiettivo di aumentare la consapevolezza pubblica sulla One Health, ovvero sull’approccio olistico riconosciuto dal Ministero della Salute italiano e dalla Commissione Europea in cui vi è interdipendenza tra la salute degli esseri umani, degli animali, delle piante e dell’ambiente. All’interno del progetto una prima grande indagine sulla conoscenza e il vissuto della One Health è già stata svolta su di un campione rappresentativo di 1.000 persone della popolazione italiana, approfondendo il rapporto essere umano-natura.
Come è percepita, oggi, la natura nell’immaginario collettivo? Secondo un continuum inestricabile e interrelato? O ancora secondo quel “desiderio di espansione, di dominazione, di controllo” che è “proprio della civiltà europea e delle sue propaggini fuori dall’Europa”, così come afferma Philippe Descola in un’intervista a cura di Adriano Favole? Messaggi discordanti tesi tra speranze disattese e futuri più rosei arrivano dai risultati della ricerca.
L’83% delle persone intervistate non ha mai sentito parlare dell’approccio One Health sebbene il 75% reputi che essere umano, animali, piante e ambiente dipendano l’uno dall’altro per sopravvivere e stare bene.
[FIG 13 da pagina 6 di One Health Project – Indagine nazionale]
Dal progetto di Vegan Hacktivists emerge che comunemente percepiamo la natura selvaggia come un ecosistema in cui “large adult animals” vivono “characterized by freedom” e da felicità incondizionata, o peggio, riteniamo che la sofferenza degli animali selvatici sia naturale, parte del loro stesso ciclo di vita. Ma wild animal suffering is not natural e a noi, esseri umani, sta la possibilità e la responsabilità di prendere in carico il loro benessere, per avvicinarci sempre più a un futuro meno antropocentrico.
Sempre dallo studio di One Health Project emerge una forte volontà di invertire la rotta anche grazie all’aiuto che la tecnologia può offrire. Un 55% del campione crede nel ruolo delle tecnologie digitali per lo sviluppo di una salute integrata e un buon 33% reputa che le tecnologie diventeranno fondamentali per prendersi cura di umani, animali, piante e ambiente. Come afferma, allora, Cristina Cenci, antropologa fondatrice dell’istituto di ricerca Body&Society LAB e del Center for Digital Humanities in un articolo del Sole 24 ore, appare evidente che
La One Health ci porta a problematizzare non solo le modalità con cui conosciamo il mondo che ci circonda, ma anche le nostre azioni e il nostro impatto [...] Questo ottimismo tecnologico rappresenta una novità importante e costruttiva.
La One Digital Health sarà probabilmente il passo successivo da compiere.
🌱 GERMOGLI
parole che attecchiscono, creando immaginari futuri, scenari improbabili, dialoghi sintetici o dibattiti antitetici
tàvolo s. m. [der. di tavola] – 1. Forma ormai più com. e spesso esclusiva, soprattutto fuori di Toscana, per tavola nel sign. di «mobile» [...] Con uso fig., nel linguaggio politico e giornalistico, il termine […] indica il luogo (ideale), l’occasione d’incontro tra gruppi politici, parti sociali, rappresentanti di organismi istituzionali.
Oggetto comune, necessità di ogni casa e ufficio e con un’antica storia di cui ogni museo si annovera un tassello, dal British Museum fino a Palazzo Madama. Introdotto dalla civiltà egizia intorno al 2500 a.C., secondo Jerzy Smardzewski, professore presso il Dipartimento di Furniture Design, Faculty of Wood Technology della Polonia, il tavolo, nel tempo, ha assunto molteplici forme, colori e design accompagnando mestamente il susseguirsi delle epoche. Esistono tavoli da gioco, tavolini da caffè, tavoli consolle; nella memoria è ben scalfita la tavola rotonda dei cavalieri di Re Artù insieme con il tavolo del Kat’z Delicatessen di Harry ti presento Sally.
Perché la parola tavolo attecchisce oggi? In quanto il tavolo è quel luogo di scambio materico e metaforico in cui voci plurime di una città possono incontrarsi. La parola tavolo racchiude in sé domande capaci di svelare nuove prospettive nel campo della sociologia urbana e della progettazione partecipata dei luoghi.
Che cosa è un tavolo? Quali sono le diverse nature di un tavolo in relazione al suo contesto? I tavoli sono una fonte di riconciliazione, di svago e di divertimento? Oppure sono un dispositivo conflittuale? I tavoli sono fatti per essere usati da soli? O in forma collettiva?
Queste sono alcune delle domande contenute nel quarto numero di Vuoto e scelte dai curatori di Words around tables in occasione della diciassettesima Biennale di Architettura di Venezia, per mostrare la natura eterogenea del concetto-tavolo, sineddocche di una società sempre più frammentaria e desiderosa di incontri, parentele e amalgame.
Grazie ai tavoli di co-progettazione è possibile ricostruire la relazione tra gli spazi urbani e le plurime comunità che li abitano. Un patto per Spoleto, a cura di Labus, piperà – persone per ambienti e aBetterPlace, ne è un esempio virtuoso.
Intorno a un tavolo l’amministrazione comunale, il municipio, le associazioni locali, i commercianti, il mondo della scuola, i residenti e i frequentatorɜ della piazza hanno deciso collettivamente il futuro di Piazza Spoleto a Milano.
Quanto più è attivo il ruolo delle comunità locali nel dare forma e significato al nuovo ambiente urbano – ovvero quanto più il loro coinvolgimento non si limita alla definizione (o realizzazione) del progetto spaziale, ma è orientato a condividerne il senso e l’orizzonte a lungo termine – tanto più le nuove narrazioni e funzioni saranno rappresentative e aderenti alle reali necessità dei contesti locali.
L’articolo di Labsus individua nei patti di collaborazione lo strumento per fare non solo “placemaking, ma anche placekeeping nel lungo periodo”. Collaborare per stringere un patto è, allargando lo sguardo, una palestra di democrazia, in cui l’interesse particolare sfuma verso l’interesse generale e le voci che attraversano i luoghi diventano spettroscopico coro di un sistema ecologico più ampio. Anab Jain, co-fondatrice e direttrice di Superflux, lo ribadisce in un articolo per Noemag. Occorre un radical design, ovvero una progettazione che vada alle radici per esplorare tutte le “nuances of complexities”. Il processo che la costruzione di un tavolo ci insegna è proprio questo: soffermarsi nel vuoto che separa il problema dalla soluzione e imbandire la tavola per concetti amici come l’interdipendenza, la ridondanza e la contraddizione.
[Refuge For Resurgence by Superflux. Exhibited as part of Our Time On Earth, 2022]
🌿 LINFE
pillole di rinvigorenti simbiosi e contaminazioni, ovvero segnalazioni di eventi ed estratti di interviste che scorrono nel tempo, nutrendolo
in uno dei suoi ultimi post su Substack rende omaggio a Phyllida Barlow, “una delle più profonde scultrici della sua generazione” che ha esibito al Tate Britain e alla Biennale di Venezia, proponendo un’intervista all’artista del Podcast. Assonanze e corrispondenze tra corpi di carne che incontrano corpi di scultura risuonano anche ne Picasso Sculptor. Matter and Body, collezione in mostra dal 9 maggio al 10 settembre presso il Museo Picasso Màlaga. In scena ci sono tutte quelle sculture di Picasso apparentemente messe in ombra dai suoi dipinti ma che, come nel resto della produzione dell’artista, si distinguono per l’innovazione delle tecniche e dei materiali utilizzati. Grazie alla modellazione e alla costruzione in ferro saldato, in legno o in lamiera, Picasso è in grado di incorporare il vuoto come nuovo elemento caratterizzante la scultura moderna. La mostra fa parte della Celebrazione Picasso 1973–2023, un programma internazionale organizzato con il sostegno del Musée national Picasso–Paris e della Commissione Nazionale Spagnola per la commemorazione del 50° anniversario dalla morte dell’artista.Sculpture is in our everyday lives the whole time. Crossing the road with a lorry coming towards you is, in my opinion, a sculptural experience, where you as a flesh-and-blood object [are] up against the thing that isn’t. And one’s emotional and psychological assessment of that all happens in a flash. [...] that’s what I think we do when we’re interacting with sculpture: the space is filled. As we walk around it, we are constantly losing an image of it and finding a new image.
🌳 CHIOME
condivisione di rigogliosi saperi che ondeggiano, volano e ricadono
“Come si diventa unǝ graficǝ?” Per la chioma di questo mese abbiamo incontrato Eleonora Rossi, creative designer di Sineglossa e autrice dei collage di Nuovo Rinascimento Mag che ci porta nel mondo del graphic design attraverso la cultura giapponese. Dopo aver ascoltato Eleonora, potremmo forse rispondere alla domanda con “leggendo Lo zen e il manga, arte contemporanea giapponese (Mondadori, 2009) di Fabriano Fabbri”, il libro-galeotto consigliatole dal professore di Storia dell’Arte Contemporanea al DAMS di Bologna che “mi ha fatto appassionare alla grafica in maniera potente” mettendo in luce un Giappone “così lontano e così vicino”. In un dialogo a due voci immaginario, ecco allora che Fabbri nel 2009 lancia una scommessa sempre aperta e, molto probabilmente, mai vinta:
Scagli la prima pietra chi non ha mai immaginato di trasformarsi in un Super Sayan, di provare ad essere Lamù, di bagherare con Mila e Shiro o di pilotare Gundam
E, oggi, per avvicinare al mondo del Giappone, approfondirlo e amarlo sempre di più, Eleonora, alza il tiro con un’altra raffinata sfida.
Avete mai sentito parole come ukiyoe, teatro nō e Kabuki, kamon? I possibili scenari sono tre: il primo è che non vi sia mai capitato di sentire neanche una di queste parole, il secondo è che vi ci siate imbattuti almeno una volta e il terzo è che siate degli appassionati conoscitori del Giappone e delle sue tradizioni.
In qualunque scenario ci si collochi il libro-chioma di questo mese, Graphic design giapponese (Nuinui, 2021), attraverso storie popolate di fantasmi ed esseri sovrannaturali, rarefatte atmosfere teatrali e meravigliosi tessuti, potrebbe donarvi due nuove lenti con cui osservare il Giappone che c’è nei vari formati di packaging, nelle insegne di negozi, nelle brand identity e nei progetti artistici. Il testo presenta, infatti, oltre 500 motivi tradizionali giapponesi accuratamente illustrati e spiegati alla luce delle loro radici culturali e propone, al contempo, un costante parallelismo con il design contemporaneo e le sue rielaborazioni moderne.
“Il punto - come sentenzia Fabbri - è che c'è più Giappone in noi di quanto non si possa immaginare”. Armatɜ di una nuova bussola dai toni cangianti dei kimono, non resta che scoprirlo tutto intorno a noi.
L’arboricultura è completa. Una Mangrovia è cresciuta nella tua casella di posta elettronica.
Leggendo tra semi, linfe, chiome e germogli, ti è venuta in mente una connessione che possiamo approfondire per il prossimo numero? Scrivici nei commenti o inviando un messaggio a sofia.marasca@sineglossa.it
A presto